Testimonianza di Valeria in Arabia Saudita, tra coronavirus, abaya e cambiamenti sociali

Interviste agli espatriati
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Pubblicato 2020-10-26 alle 12:56 da Francesca
"La prima abaya non si scorda mai", mi racconta Valeria, espatriata italiana con la famiglia ad Al Khobar, una città sulla costa del Golfo Persico. Girovaga per passione, ha collezionato esperienze di vita anche in Europa e in Medio Oriente. In occasione di questa intervista ci parla della sua quotidianità in Arabia Saudita, un paese che per usi e tradizioni è molto diverso da quello in cui è nata e cresciuta.    

Raccontaci un po' di te, da dove vieni e quanto tempo fa hai lasciato l'Italia?

Era la fine del 2003 quando giovane, con un lavoro in una nota società di consulenza a Milano, io e mio marito decidiamo di fare un'esperienza all'estero per due anni..che poi si sono trasformati in 17 anni ad oggi.

Avevo già lasciato la mia città di origine, Lecce, anni prima per l'università e poi per il lavoro ma all'inizio non avevo in mente di diventare propriamente una girovaga. Questo è il nick name che mi sono attribuita, nel tempo, perché mi calza a pennello.

Dove vivi attualmente e quali sono i motivi del trasferimento?

Al momento sono con la mia famiglia, siamo in 4, ad Al Khobar a sud est dell'Arabia Saudita. Ci siamo arrivati dopo aver vissuto un po' in Europa (Madeira e Croazia) e nel Middle East, in particolare ad Abu Dhabi.

Hai avuto difficoltà ad adattarti alla vita in KSA e come le hai superate?

Le difficoltà e il tempo per ambientarsi in un posto bisogna concederselo sempre, qui in Saudi in alcuni momenti sento che ancora mi sto ambientando perché è una continua evoluzione. Nell'insieme le difficoltà pratiche, ma soprattutto qualche barriera culturale, le ho superate dando rispetto e ottenendolo in cambio. Credo che questa sia stata la chiave per, pian piano e con alti e bassi, sentirsi un po' parte di questa società.

A livello burocratico, quali sono le prime cose che un espatriato deve fare dopo il trasferimento in Arabia Saudita? 

Al momento in Arabia Saudita si entra con un visto di lavoro sponsorizzato dalla società per cui si lavora. Nel caso di trasferimento in famiglia sarà il dipendente a sponsorizzare gli altri membri della stessa. Diciamo che è un sistema a cascata. Poi naturalmente ci vuole un'assicurazione sanitaria adeguata. In generale, tuttavia, degli aspetti burocratici si occupa, come detto, la società che assume il lavoratore/lavoratrice proprio perché ne è il responsabile.

Parliamo di COVID-19: quali sono state le zone del Paese più colpite e quando siete entrati ed usciti dal lockdown?

Il Covid-19 anche in Saudi ha avuto, ed ha, un impatto non indifferente da molti punti di vista. Le zone più colpite sono state i grandi centri abitati come Riyadh, Jeddah, Mecca e Medinah. 
Anche Dammam, più vicino alla zona in cui vivo, ha contato un certo numero di casi.

Le fasi della chiusura qui in Saudi si sono evolute gradualmente da inizio marzo a fine giugno quando si è ricominciato a far girare l'economia. Tuttavia l'Arabia Saudita ha mantenuto ferma sino a qualche settimana fa e, da subito, una totale chiusura dall'esterno. Gli aeroporti sono rimasti chiusi fino al 15 settembre, data in cui è stato deciso che con limitazioni, e solo per alcuni casi, è di nuovo permesso volare. Le regole sono in generale ed anche in questo caso molto restrittive.

Per il momento la scuola funziona in modalità “on line”.

In caso di contagio, gli espatriati in KSA possono accedere alle cure anche se non hanno un'assicurazione sanitaria?

Al momento, in cui la situazione è sotto controllo con soli 400 casi giornalieri, non so. 
Nel periodo di massimo picco il Re aveva decretato “cure gratuite e disponibili per tutti” senza eccezioni.

Che precauzioni adotti quando esci di casa per andare a fare la spesa o le commissioni necessarie?

Le precauzioni sono le stesse un po' per tutti, credo: mascherina e gel disinfettante, evito le ore di punta, prediligo la macchina ai mezzi pubblici, e naturalmente cerco di applicare la social distance.

La vita quotidiana in KSA è scandita dagli orari della preghiera. Come riesci ad incorporare questo stile di vita nel tuo?

Ci vuole tanta pazienza e organizzazione. Esiste un'applicazione che non può mancare sul cellulare che ti ricorda quando inizierà la preghiera. Da lì parte il can can. 

Mi spiego meglio: in linea di massima io esco quando so che la preghiera sta per terminare perché, dal momento che i negozi chiudono durante la preghiera, non mi piace essere, per esempio, in un supermercato, aver fatto la spesa ma dover aspettare la fine della preghiera per pagare perché i cassieri non ci sono.
La preghiera viene annunciata nei luoghi chiusi e all'aperto con un suono di richiamo alla preghiera: solitamente una musica o, nei negozi, con altoparlante perché ti avvisano che devi uscire dallo stesso che chiuderà per il tempo previsto.
I musulmani pregano nella moschea o con il loro tappetto rivolto verso la Mecca anche per strada, insomma dovunque. A parte la chiusura dei negozi questa pratica religiosa non impatta ulteriormente su noi expat, almeno per me.

Dal 2016 ad oggi, quali sono i cambiamenti maggiori del Paese a cui hai assistito?

Questo Paese mi ha sorpreso molto in questi anni che direi sono stati cruciali: sicuramente aver decretato il diritto alla guida per le donne è stato il più grande cambiamento. L'Arabia Saudita era l'unico Paese al Mondo in cui le donne non potevano guidare. 
Il secondo importante traguardo è che si può non indossare l'abaya purché si abbia un abbigliamento modesto e quindi no a pantaloncini e top. In realtà, come racconto in uno dei miei podcast, questo abito marca fortemente la tradizione delle donne saudite che quindi la indossano mentre noi straniere abbiamo, almeno, la possibilità di scegliere.

Abaya: che cos'è, perché si indossa e che significato ha per te questo capo d'abbigliamento?

Abaya è l'abito tradizionale delle donne saudite. Si tratta di una sorta di “mantello” dalle linee morbie che copre il corpo. Tradizionalmente nero adesso la si trova di vari tessuti colorati e in fantasie diverse. I più grandi stilisti della moda hanno spesso collezioni dedicate a questo abito. 

Io ne ho diverse e per me rappresenta il rispetto per questa cultura. Non la indosso sempre ma generalmente tendo ad averla con me perché, a seconda delle situazioni in cui mi trovo, potrei sentirmi più “inclusa”.

La prima abaya, come racconto qui, non si scorda mai. 
Per me ha rappresentato, soprattutto all'inizio una vera corazza, uno scudo per sentirmi protetta in questa nuova realtà. 

Quali sono i lati positivi e quelli meno piacevoli della tua esperienza da expat fino ad oggi?

Questa vita indubbiamente offre diversi spunti positivi: conoscere luoghi e culture vivendole in prima persona e non magari solo da turista, praticare lingue diverse da quella madre e magari impararne altre, frequentare un numero elevato di persone e magari qualcuna rimarrà per sempre.

Il lato negativo credo sia principalmente il non appartenere a nessun posto in particolare che forse, a lungo andare, potrebbe pesare. Ma te lo dirò quando sarò anziana.

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