I Millennials e la Generazione Z cercano flessibilità sul lavoro ed esperienze internazionali

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Pubblicato 2022-12-14 alle 00:00 da Ameerah Arjanee
Diversi studi condotti di recente hanno evidenziato che i lavoratori più giovani apprezzano molto la flessibilità in ambito professionale. Questa flessibilità include la possibilità di lavorare da remoto e dall'estero. Ora che la mobilità internazionale è in ripresa, in molti hanno voglia di girare il mondo lavorando a distanza o diventando nomadi digitali.

Millennials e Generazione Z: chi sono?

In senso stretto, i Millennials sono i giovani nati tra il 1980 e il 1996. Di solito vengono suddivisi in due gruppi: i Millennials più grandi (1980-1988) e quelli più giovani (1989-1996). Un 26enne, ad esempio, conduce una vita diversa da un 40enne, ma sono entrambi dei Millennials. 

La Generazione Z, chiamata anche "zoomers", comprende i nati tra il 1997 e il 2012. Molti di loro sono studenti universitari o professionisti al primo impiego. È stato anche coniato un termine per identificare i giovani nati a cavallo tra i Millennials e la Generazione Z: i Zillennials. Nati a metà degli anni '90, gli Zillennials hanno vissuto situazioni che hanno marcato entrambe le generazioni, come il crollo finanziario del 2008 (quando frequentavano gli ultimi anni di scuola superiore) e la pandemia durante gli anni dell'università. 

In linea di massima, i "giovani" fanno parte della Generazione Z e del gruppo dei Millennials più piccoli (1989-1996). I Millennials più grandi invece hanno una carriera già avviata, hanno comprato casa e sono genitori. 
I lavoratori più giovani cercano flessibilità e un buon equilibrio tra lavoro e vita privata

Alla fine del 2022, la società di analisi Gallup ha condotto uno studio sui comportamenti e le aspettative dei lavoratori giovani. È emerso che quelli di età compresa tra i 18 e i 34 anni non danno troppa importanza al prestigio della loro azienda e non sono interessati a fare carriera in modo lineare. Non hanno un forte legame con il datore di lavoro e sono sempre alla ricerca di opportunità migliori, non hanno problemi a cambiare impiego per fare carriera, vogliono flessibilità ed equilibrio tra lavoro e vita privata.

Il job-hopping, ossia cambiare impiego dopo 1-2 anni, è una tendenza che caratterizza la Generazione Z. LinkedIn News riporta che, rispetto al 2019 (prima della pandemia), la Generazione Z cambia lavoro in una misura del 134% in più. La percentuale scende al 24% tra i Millennials, e questo dimostra che la tendenza a cambiare frequentemente impiego è più radicata tra i ventenni.

La pandemia, la normalizzazione del lavoro da remoto e il fenomeno delle Grandi Dimissioni hanno influenzato l'atteggiamento della Generazione Z nei confronti dell'impiego. Potrebbero aver iniziato a lavorare da remoto nel 2020-2021 e non aver costruito un forte legame con i colleghi. In seguito alle Grandi Dimissioni, sono consapevoli del loro valore sul mercato e sanno che, con il job-hopping, possono ottenere aumenti di stipendio del 20-30% e posizioni più qualificate. Nel sondaggio "Global 2021 Millennial and Gen Z Survey" di Deloitte, circa la metà degli intervistati ha dichiarato che la loro priorità è la flessibilità. Uno studio di GOBankingRates ha rilevato che oltre la metà della Generazione Z preferisce lavorare da remoto. LinkedIn riferisce che i lavoratori più giovani sono maggiormente inclini a cliccare sugli annunci di lavoro che riportano il termine "flessibile" tra le parole chiave.

I giovani cercano lavoro all'estero

La Generazione Z e i Millennials più giovani vogliono fare esperienze di lavoro all'estero.
Uno studio condotto dall'ADP Research Institute, intitolato "People at Work 2022: A Global Workforce View", ha evidenziato che il 40-50% dei giovani singaporiani ha in programma di andare a lavorare all'estero, rispetto al 30% della popolazione singaporiana in generale. Il 51% dei lavoratori singaporiani tra i 18 e i 24 anni, e il 43% tra i 24 e i 34 anni, afferma che l'isolamento, l'impossibilità di viaggiare e l'incertezza vissuta durante la pandemia del 2020-2021, li ha spinti a desiderare di trovare un impiego all'estero.

Yvonne Teo, vicepresidente della filiale Asia-Pacifico della ADP, sostiene che le aziende potrebbero prevenire la fuga dei cervelli se offrissero loro incarichi internazionali gratificanti. 

La società di gestione patrimoniale Mercer ha condotto uno studio sulle motivazioni che spingono i Millennials ad accettare incarichi all'estero. Le ragioni principali sono l'avanzamento di carriera (98% degli intervistati) e la scoperta di una nuova cultura (61% degli intervistati). Mercer evidenzia che i Millennials svolgono con successo incarichi internazionali perché hanno buone competenze in ambito tecnologico, si adattano con facilità al lavoro digitale e sono multi-tasking. Inoltre, avendo familiarità con un mondo virtuale privo di confini, hanno una mentalità internazionale. Tuttavia, Mercer sottolinea che, per accettare un incarico internazionale, spesso chiedono che il contratto di espatrio preveda un buon equilibrio tra lavoro e vita privata.

Su LinkedIn, Sophie Theen, responsabile risorse umane della società di consulenza fintech 11:FS, che ha viaggiato molto nel corso della sua carriera, afferma che i lavoratori più giovani non associano carriera e investimenti a un territorio specifico. Dice che sono disposti a investire in bitcoin e in immobili al di fuori dei loro Paesi d'origine. Secondo lei, uno dei motivi per cui scelgono di lavorare nelle startup è che questo tipo di aziende permette loro di viaggiare. A sua detta, anche i pacchetti per l'espatrio sono cambiati: oggi le aziende preferiscono inviare i dipendenti all'estero per 3-6 mesi affittando per loro un appartamento un Airbnb, invece di offrire un pacchetto di trasferimento tradizionale.

I lavoratori più giovani approfittano della crescente tendenza al nomadismo digitale

Il nomadismo digitale è estremamente compatibile con il bisogno di flessibilità della Generazione Z e dei giovani Millennials. Questa tendenza ha subito un'impennata con la pandemia, tanto che molte nazioni (dall'Islanda alle Barbados, dal Portogallo alle Mauritius) hanno creato dei visti dedicati ai nomadi digitali. Questi permessi consentono ai cittadini stranieri di lavorare a distanza per 6-24 mesi, a condizione che la loro fonte di reddito provenga dall'estero e che soddisfino un requisito minimo di reddito.
La dottoressa Beverly Yuen Thompson, docente di sociologia presso il Siena College di New York, ha studiato le comunità dei nomadi digitali. In un articolo sul Times, afferma che molti di loro, inquadrabili nella Generazione Z e nei giovani Millennials, sono single e coinvolti in relazioni transitorie (di qualsiasi tipo, non solo romantiche). Sostiene che attraverso il nomadismo digitale "cercano una comunità che non appartenga a un territorio specifico ma che si incontra online per periodi di tempo limitati".

Alla fine del 2021, la piattaforma di lavoro MBO Partners ha pubblicato una ricerca intitolata "The Digital Nomad Search Continues". In essa si legge che il 44% di tutti i nomadi digitali sono Millennials e il 21% appartengono alla Generazione Z: i giovani costituiscono il 55% dei nomadi digitali. La loro età media è di 32 anni. Lavorano meno di 40 ore a settimana, in spazi di co-working, hotel e ostelli, camper, furgoni e biblioteche. Questo dimostra il loro desiderio di flessibilità e la loro necessità di non essere rinchiusi tra quattro mura. L'85% dichiara di essere molto soddisfatto della propria situazione lavorativa e oltre la metà afferma di voler continuare a operare nello stesso modo per altri 2 anni come minimo.

Non sorprende che questi giovani nomadi digitali tendano a operare in settori emergenti come l'informatica, i servizi creativi, l'istruzione, la consulenza, la ricerca, il marketing e le pubbliche relazioni, la finanza e la contabilità. Durante la pandemia sono state sviluppate, o si sono diffuse, diverse piattaforme e applicazioni basate sul cloud da cui poter svolgere queste mansioni. Per i professionisti con qualifiche nell'ambito dell'istruzione, ad esempio, le applicazioni di videoconferenza e le Google Classroom potrebbero bastare per lavorare da qualsiasi luogo.