Lavorare all'estero a tempo determinato: aspetti da considerare

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Pubblicato 2022-05-23 alle 10:00 da Asaël Häzaq
Le convenzioni internazionali garantiscono a tutti i lavoratori espatriati gli stessi diritti. In realtà, però, non tutti sono trattati allo stesso modo. Da un lato ci sono i lavoratori a tempo determinato e dall'altro ci sono i "colletti bianchi". Meno considerati, meno protetti ed esposti a maggiori rischi i primi. Più remunerati e privilegiati i secondi. Cosa dice la convenzione internazionale in merito? Che misure attuano le nazioni per proteggere chi lavora temporaneamente all'estero?

Cosa dice la Convenzione Internazionale

Le persone che lavorano all'estero a tempo determinato hanno, in linea di principio, gli stessi diritti e tutele degli altri lavoratori. La Convenzione Internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie specifica che “[…] uno degli scopi dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro […] è la tutela degli interessi dei lavoratori quando sono impiegati in un Paese diverso dal loro […]”. La Convenzione si basa su principi fondamentali quali i diritti umani, la promozione delle pari opportunità, ecc…

I “migranti” citati nella Convenzione sono “[…] persone che stanno per esercitare, esercitano o hanno svolto un'attività remunerata in uno Stato di cui non sono cittadini. Una definizione simile a quella di espatriato. In pratica, però, i lavoratori temporanei espatriati raramente vengono equiparati ai "colletti bianchi", ossia impiegati, funzionari dello Stato ecc... La stessa Convenzione non utilizza il termine "espatriato", che tuttavia corrisponde alla situazione vissuta da questi lavoratori stranieri.

La Convenzione specifica che questi lavoratori espatriati hanno gli stessi diritti dei cittadini dello Stato in cui lavorano: contratto di lavoro, congedo retribuito, diritto di unirsi ai sindacati, previdenza sociale, libertà di espressione, diritto alla tutela, alla circolazione nel territorio, a rientrare nel Paese d'origine… Ogni forma di discriminazione, schiavitù o lavoro forzato è fortemente condannata. In caso di violazione dei loro diritti, i lavoratori migranti e le loro famiglie possono avvalersi della tutela e dell'assistenza delle autorità consolari o diplomatiche del loro Stato di origine o dello Stato incaricato di farne gli interessi".

Ad oggi, una ventina di Stati hanno ratificato le disposizioni della Convenzione. Altri hanno solo apposto la firma (Giappone, Australia, Sud Africa, Russia, ecc.) mentre Cina e Stati Uniti non hanno ancora intrapreso alcuna azione (né firma né ratifica).

Che tipo di tutela per i lavoratori temporanei espatriati?

L'isola canadese del Principe Edoardo è alla ricerca di manodopera dall'estero. L'industria del turismo è in ripresa, ma in Canada non fila tutto liscio. L'ente benefico Cooper Institute sostiene che il governo non tuteli abbastanza questi lavoratori temporanei perchè non fornisce loro degli alloggi adeguati. Le autorità canadesi sono più interessate a colmare la mancanza di manodopera piuttosto che garantire la sicurezza dei lavoratori.

In teoria, il regolamento canadese sulla protezione dell'immigrazione e dei lavoratori stranieri temporanei sancisce che "sul posto di lavoro, i lavoratori stranieri temporanei godono delle stesse tutele e diritti dei canadesi e dei residenti permanenti, in virtù delle giurisdizioni federali, provinciali e territoriali". Nonostante gli sforzi fatti per proteggere in modo più efficace gli espatriati temporanei, il governo riconosce le sue mancanze. Sempre secondo il suddetto regolamento “[…] molti fattori, tra cui lo status temporaneo e l'accesso limitato alle informazioni sui loro diritti, rendono i lavoratori stranieri temporanei più vulnerabili nei confronti di abuso o violenza. [...]". Il Programma Temporaneo per i Lavoratori Stranieri (TFWP) e il Programma di Mobilità Internazionale (PMI), istituiti affinchè "i datori di lavori garantiscano la sicurezza dei lavori stranieri" non funzionano come dovrebbero.

Il dramma dei lavoratori precari: il caso del Giappone

In teoria i lavoratori temporanei espatriati hanno gli stessi diritti di tutti gli altri, ma in pratica non è così. E' il caso del Giappone dove lo scorso gennaio, la Fukuyama Union Tampopo (sindacato di difesa dei lavoratori) ha reso noto un video che mostra un tirocinante vietnamita che viene picchiato dai colleghi. Il ragazzo è stato assunto nel 2019 e le violenze sono iniziate da subito. A seguito della copertura mediatica del caso, il Ministero della Giustizia giapponese ha incaricato i servizi per l'immigrazione di far luce sulla questione. 

Questo programma di "tirocinio" (Technical Internship Training Program) esiste dagli anni '90 e consente al "tirocinante" di rimanere in Giappone per 3 anni. Ha preso piede solo a partire dal 2012 e presenta diverse lacune perchè non è supportato da un sistema che tuteli questa tipologia di lavoratori temporanei. Ci sono datori di lavoro senza scrupoli che approfittano dei giovani stranieri per sfruttarli. 
Nel 2016 il governo ha varato una legge che vieta alle aziende di confiscare il passaporto ai suoi dipendenti, che vieta di vivere sul posto di lavoro ecc... Purtroppo gli abusi continuano. 
A fine 2021, in Giappone c'erano 1.73 milioni di lavoratori stranieri, la maggior parte di quali (60%) in possesso di un visto temporaneo. 
Di questi, 350.000 sono "tirocinanti", per lo più provenienti dall'Asia. Si tratta di lavoratori che svolgono compiti che i giapponesi non vogliono più fare: lavori manuali pesanti, pericolosi e mal pagati.

Contratti a tempo determinato all'estero: i rischi

Il rischio principale che corre un lavoratore con contratto a tempo determinato è la possibile negazione dei suoi diritti.  
Il datore di lavoro, in alcuni casi, si approfitta del fatto che il dipendente straniero non conosca fino in fondo le regole del Paese che lo ospita. Non essendo al corrente dei suoi diritti, rischia di essere sfruttato. Sono ben noti casi in cui al lavoratore straniero viene ingiustamente sequestrato il passaporto, è costretto a vivere sul posto di lavoro, non gli viene data la possibilità di andare dal medico, è sottopagato, non ha accesso alla previdenza sociale... questi sono tutti atti da condannare eppure continuano ad essere praticati o peggio ancora: i governi sono consapevoli del problema, ma non agiscono.

Per contrastare la carenza di manodopera (soprattutto nell'edilizia e nell'agricoltura) il Giappone ha lanciato, nel 2019, un nuovo visto temporaneo di 5 anni. Più flessibile dei tradizionali visti di lavoro, non richiede la conoscenza del giapponese, ma non dà diritto alla residenza o al ricongiungimento familiare. Grazie a questo permesso molti stranieri sperano di migliorare la loro condizione di vita ma, dopo l'arrivo in Giappone, si rendono conto che non è così. Non conoscendo la lingua del posto né i loro diritti, hanno le mani legate. Questa categoria di lavoratori temporanei è maggiormente soggetta a incidenti/morte sul posto di lavoro, rispetto agli altri. 
Il caso del Giappone non è unico, tante altre nazioni sono interessate da questo problema. Secondo le associazioni a tutela dei lavoratori, le esigenze economiche di un Paese non possono andare a discapito dei diritti umani universali.