Coronavirus: attraverso gli occhi di expats in Asia

Vita quotidiana
Pubblicato 2020-03-20 alle 10:59 da Anne-Lise Mty
I Paesi del Sud-est asiatico sono stati i primi ad essere colpiti dal coronavirus. Ecco una panoramica sulle vite degli espatriati in questa parte del mondo dove pare che l'epidemia si stia iniziando a contenere. 

Corea del Sud

Matthias, espatriato francese a Daegu

Matthias, che vive e lavora a Daegu, è appena tornato in ufficio dopo un periodo di due settimane in cui ha lavorato da casa. Il giovane espatriato francese ricorda il primissimo caso di coronavirus rilevato in questa zona. “Il giorno in cui il primo paziente è stato diagnosticato a Daegu, ero appena tornato dalle vacanze. Molti insegnanti stranieri di inglese hanno iniziato a farsi prendere dal panico ma quando sono tornato al lavoro, ho ripreso a fare la vita di sempre."

Pochi giorni dopo, tuttavia, le cose sono peggiorate. "È stato solo allora che sono state messe in atto le prime misure preventive. Indossare una maschera è diventato obbligatorio, la temperatura veniva monitorata all'ingresso e all'uscita di ogni edificio. Nella mia azienda sono stati istituiti turni per il pranzo cosi da ridurre la quantità di persone in mensa nello stesso momento. I corsi di lingua che erano tenuti dai miei amici insegnanti sono stati sospesi e sono stati banditi tutti gli incontri sportivi, sociali o religiosi. E queste misure sono ancora in atto oggi ".

Tuttavia Matthias ci riferisce che i negozi non sono stati chiusi, non c'è stata penuria di prodotti nei supermercati, la gente circolava per strada. Non ha provato un senso opprimente di crisi, fermo restando che tutta la popolazione ha iniziato ad indossare la mascherina protettiva, precauzione tuttora in vigore. 

Poiché a quattro dipendenti della sua azienda è stato diagnosticato COVID-19, Matthias ha dovuto lavorare da casa per due settimane, ma ora è tornato in ufficio.

Cina

Summayah, espatriata mauriziano che vive a Wenzhou

Summayyah vive a Wenzhou da 12 anni con suo marito pakistano. Essendo entrambi medici sono stati coinvolti in prima persona nella lotta contro il coronavirus.
Si sono offerti volontari per diagnosticare le persone alle frontiere e curare i pazienti negli ospedali, lavorando un numero di ore indefinito.
"Sono stati due mesi difficili a Wenzhou, dato che si tratta della seconda città che è stata più duramente colpita dal virus. Eravamo completamente isolati. Le persone potevano uscire a comprare generi alimentari solo a giorni alterni, ed ogni volta che entravamo ed uscivamo da un qualsiasi edificio ci misuravano la temperatura. Quando queste restrizioni sono state tolte abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Oggi la situazione sta tornando alla normalità a Wenzhou. Tutte le città della provincia di Hubei, ad eccezione di Wuhan, non hanno registrato nuovi casi nell'ultima settimana”.

Nel momento in cui abbiamo intervistato Summayah, nel suo paese natale, Mauritius, non c'erano ancora persone positive al virus. Purtroppo le cose sono in fretta cambiate perché il 18 Marzo sono stati segnalati i primi casi ed il 20 Marzo il governo locale ha deciso di chiudere le frontiere e sospendere tutte le attività al pubblico. Restano aperti i supermercati, le farmacie e le banche. Le scuole sono state chiuse e la popolazione è invitata a rimanere dentro casa. 

Summayah ci informava di essere in contatto costante con la sua famiglia tramite i social networks. “Li sento ogni giorno, è davvero difficile essere lontani, soprattutto perché qui stiamo lentamente tornando alla normalità e la minaccia nel resto del mondo è putroppo più reale che mai. È spaventoso che non ci sia nulla che io possa effettivamente fare da qui, tranne dare loro le informazioni corrette per restare protetti. Le frontiere sono chiuse, ogni Paese impone delle restrizioni sull'uscita e sull'ingresso delle persone e non ci sono aerei che volano tra Mauritius e la Cina. Non so ancora quando potrò abbracciare di nuovo i miei cari ".

Articolo tradotto e riadattato da Coronavirus : Through the eyes of expats in Asia