L'aumento del costo della vita e la nazionalizzazione del lavoro fanno scappare gli espatriati dai Paesi del Golfo

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Pubblicato 2022-08-19 alle 10:00 da Ameerah Arjanee
Fin dagli anni '70, il settore privato dei Paesi del Golfo ha fatto largo affidamento sulla manodopera straniera. Tuttavia, come riportano Arab Times e Jerusalem Post, gli espatriati se ne stanno andando in massa a causa dell'impatto della pandemia sul settore petrolifero, della mancanza di sussidi per i non residenti e della nazionalizzazione dei posti di lavoro. I più colpiti sono gli espatriati della classe media, che non possono avvalersi di un supporto finanziario da parte dei datori di lavoro.

La dipendenza strutturale dei Paesi del CCG dagli stranieri

Il Consiglio di Cooperazione del Golfo (CCG) è l'alleanza economica e politica dei sei principali Paesi produttori di petrolio del Medio Oriente: Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi Uniti (EAU/Dubai), Qatar, Bahrein e Oman. Questi Paesi hanno registrato un rapido sviluppo economico a partire dagli anni '70 e hanno iniziato ad assumere manodopera straniera per sostenere i settori privati in piena espansione. Oltre all'industria petrolifera, gli espatriati lavorano anche nei servizi finanziari, nell'edilizia, nell'istruzione e nella sanità.

Con il passare del tempo, la forza lavoro straniera ha ampiamente superato il numero di lavoratori locali. Le statistiche del 2021 di Standard & Poor's Financial Services mostrano che oltre l'80% della forza lavoro dei Paesi del CCG è costituita da espatriati. Solo nel settore privato, la percentuale supera il 90%. Gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar e Abu Dhabi sono i Paesi che fanno maggiore affidamento sulla manodopera proveniente dall'estero, dove oltre il 90% degli impiegati è costituito da stranieri.

Gli espatriati nei Paesi del CCG spesso si trasferiscono per un numero limitato di anni, non aspirano alla residenza permanente (che è comunque difficile da ottenere) e inviano i soldi guadagnati alle famiglie rimaste in patria. Un'alta percentuale delle entrate nei Paesi del Golfo, pari al 12% del PIL nel caso dell'Oman, viene inviata all'estero (S&P Global).

I nativi dei Paesi del Golfo sono per lo più impiegati nel settore pubblico. Secondo S&P Global e Forbes, rispetto agli espatriati, beneficiano di stipendi più alti, di maggiori indennità e tutela dei diritti dei lavoratori, della garanzia del posto di lavoro. Questi Paesi sono tristemente noti per i casi di abuso dei diritti umani nei confronti dei lavoratori stranieri, come la reclusione forzata e la confisca illegale dei passaporti subita dalle governanti in Arabia Saudita. I lavoratori locali sono generalmente protetti da questo tipo di abusi.

Nonostante i salari più bassi e la minore sicurezza, gli espatriati traggono comunque vantaggio dal fatto di vivere nel CCG perché i loro guadagni sono esenti da tasse e le rimesse inviate in patria sono ben convertibili in valute più deboli (ad esempio, nella rupia pakistana o nella sterlina egiziana). Fino allo scoppio della pandemia, i vantaggi erano superiori agli svantaggi. Dal 2020 le cose sono cambiate: l'industria petrolifera ha rallentato i ritmi, il Covid-19 e la guerra in Ucraina hanno fatto salire alle stelle l'inflazione e il costo della vita. Inoltre, i Paesi del CCG hanno iniziato a dare priorità di lavoro dei cittadini locali a discapito degli espatriati. 

Mancanza di aiuti finanziari per gli espatriati durante la crisi economica 

I Paesi del Golfo stanno fronteggiando un aumento del costo della vita. Durante la pandemia, Dubai ha risentito della contrazione dei settori dell'aviazione, del turismo e della vendita al dettaglio (fonte S&P Global). Anche il deprezzamento del costo del petrolio, che viene ora venduto a 50 dollari al barile, ha influito sulle entrate di questi Paesi. Per fare un paragone, nel 2014 un barile di greggio veniva venduto a oltre 100 dollari. 

I cittadini locali non risentono così pesantemente dell'aumento del costo della vita perché fruiscono di sussidi e indennità statali. Secondo il Jerusalem Post, i cittadini del Bahrein ricevono un aiuto economico per l'acquisto della carne. Gli espatriati, di contro, devono pagare per intero i prezzi del post-inflazione. Analogamente, in Kuwait, la gente del posto può rifornirsi presso le società cooperative per acquistare prodotti di base a un prezzo ridotto. Gli espatriati non possono fruire di queste agevolazioni. 

Anche le utenze e il carburante sono più costosi per gli espatriati. Lo Stato del Bahrein ha recentemente aumentato il prezzo della benzina del 200%. Il prezzo dell'elettricità in Bahrein è di 29 fils per unità per gli espatriati, e di 3 fils per unità per i locali; si tratta di un costo di 9,6 volte superiore. Se si considera che i compensi del settore privato sono più bassi rispetto a quelli del settore pubblico, è facile capire che gli espatriati stiano vivendo una situazione di grande pressione finanziaria.

Oltre alle spese quotidiane, gli espatriati nei Paesi del Golfo sono soggetti a tasse e restrizioni aggiuntive. Ad esempio, devono pagare una tassa di espatrio per sé e per ogni membro della famiglia. Nel 2020, in Arabia Saudita, questa tassa è stata portata a 800 riyal (∼213 USD), il doppio rispetto a due anni prima. Inoltre, gli espatriati devono pagare 2.400 riyal (∼640 USD) ogni 6 mesi per ogni persona a carico (coniuge o figlio). Lo stipendio medio di un espatriato asiatico in Arabia Saudita è di 11.066 USD all'anno (fonte Gulf Business). Le tasse di cui sopra rappresentano una percentuale non trascurabile dei guadagni.

Gli espatriati della classe media stanno sostenendo i costi da soli

Gli espatriati che lavorano come operai (ad esempio nell'edilizia, nelle pulizie, nei lavori domestici) in genere hanno l'alloggio e le bollette pagati dai datori di lavoro. Il pacchetto standard offerto alla maggior parte dei domestici negli Emirati Arabi Uniti garantisce loro un alloggio nella casa del datore di lavoro durante il periodo del contratto. Il Jerusalem Post sottolinea che, anche se questi espatriati sono pagati molto meno degli altri, riescono sempre a inviare soldi a casa. 

Gli espatriati che svolgono professioni a medio reddito devono affrontare l'aumento del costo della vita completamente da soli. Si tratta di insegnanti, ingegneri, impiegati amministrativi, infermieri, grafici, ecc. Molti di loro provengono dal "Sud globale", ovvero dai Paesi dell'Asia meridionale, del Sud-Est asiatico e del Nord Africa, e non hanno il privilegio di avere una valuta più forte in patria.

Gli espatriati della classe media nel CCG sono ormai in modalità di sopravvivenza e non possono risparmiare; molti hanno scelto di rimandare a casa coniugi e figli e di vivere in appartamenti condivisi con altri lavoratori, per ridurre i costi. Questo gruppo di lavoratori guadagna tra i 1.300 e i 4.000 dollari al mese. Un ingegnere giordano in Arabia Saudita, ad esempio, ha dichiarato a The Media Line che, anche con un reddito mensile di 3.725 dollari, non poteva più permettersi di mantenere moglie e figli nel Paese. Un insegnante egiziano in Kuwait ha fatto lo stesso, dicendo che ora deve condividere un appartamento con sette colleghi anche se guadagna 3.250 dollari al mese.

La nazionalizzazione del lavoro aggrava l'esodo

Non sorprende che dal 2020 i Paesi del Golfo abbiano perso, su base annua, il 4% della loro forza lavoro straniera. La popolazione dell'Oman si è ridotta del 12% (262.000 espatri) nel 2020. Secondo il quotidiano Zawya, dal 2017 ad oggi, l'Arabia Saudita ha perso un milione di espatriati.

In realtà, la riduzione della popolazione è l'obiettivo preciso dei governi del CCG. Per la prima volta dagli anni '70, questi Stati stanno cercando di ridurre la loro popolazione di espatriati per aumentare i tassi di occupazione a livello locale. L'Oman ha esplicitamente chiamato questa strategia "Omanizzazione", vietando agli espatriati di svolgere una serie di lavori ora riservati agli omaniti (risorse umane, responsabile amministrativo, inserimento dati, venditore di gas...). Nel 2020, il primo ministro del Kuwait ha dichiarato di voler ridurre la popolazione di espatriati del 20%, il che implicherebbe la partenza di 2.5 milioni di persone.

I tassi di occupazione dei locali sono effettivamente migliorati. L'economista saudita Abdullah al-Otaibi afferma che la disoccupazione tra i cittadini sauditi è scesa dal 15% all'11%. Anche il settore pubblico beneficia del fatto che alcuni dei lavoratori si siano spostati nel settore privato, dove hanno sostituito gli espatriati. Con il calo delle entrate petrolifere, il settore pubblico faticava a pagare tutti gli stipendi e i benefit dei suoi dipendenti. Nazionalizzare la forza lavoro del settore privato è un modo per alleggerire la pressione fiscale dello Stato, anche se a spese degli espatriati.

Anche Ahmed Alwani, analista economico kuwaitiano, sottolinea che un maggior numero di lavoratori locali nel settore privato garantisce che meno ricchezza lasci il Paese attraverso le rimesse. Inoltre, sottolinea che l'intelligenza artificiale e l'automazione possono sostituire molti lavori precedentemente svolti dagli stranieri. Nonostante i molteplici vantaggi per gli Stati del Golfo, il rapporto di S&P Global evidenzia che la nazionalizzazione dei posti di lavoro presenta anche dei rischi. Un rapido esodo di espatriati potrebbe portare alla stagnazione del mercato e creare una carenza di competenze.