La Tana Africana

L'espatriato del mese
  • La Tana Africana
Pubblicato 2014-12-01 alle 00:00 da Expat.com team
Le avventure africane di una chiassosa, magica e confusionaria famiglia italiana.

Ciao Francesca, ti va di raccontarci un po' di te e dei motivi che vi hanno portato in Costa d'Avorio?

Eccomi!
Sono Francesca, su internet cescar76, mamma per amore, architetto per vocazione, creativa per passione, blogger per sfogo ed expat per scelta :-D.
Ad un certo punto della nostra vita, avevamo il primo figlio molto piccolo, io e il Marito (ormai universalmente noto come) Paziente decidemmo di provare a fare domanda per andare a fare un'esperienza lavorativa (lui) in un'Ambasciata.
Il motivo di una scelta simile, allora, era la voglia di vedere posti nuovi e magari di mettere qualche soldo da parte, perché no. Tra quella prima decisione e la fine dell'iter, tra prove linguistiche e amenità varie, ci sono stati tre anni e un altro figlio e l'ago della bilancia onestamente si è spostato abbastanza verso il movente economico. Restava però dentro la grande convinzione (che poi è stata la vera essenza di questi ormai tre anni qui) che stavamo facendo qualcosa di importante per i nostri figli. E non il metter loro dei soldi da parte, quanto il dargli la possibilità di confrontarsi con un mondo in cui i diversi sono loro e quindi di crescere umanamente e socialmente con dei principi forti, oltre che (e non è cosa da poco) con una lingua in più.

Sei l'autrice del blog “La Tana Africana”, quand'è che hai cominciato a scriverlo e qual è il motivo principale che ti ha spinta a farlo?

Il blog è nato pochissimo tempo dopo essere arrivata in Costa d'Avorio.
Per quanto frastornata, mi è stato chiaro fin da subito che questa esperienza mi avrebbe portato in luoghi di me che non conoscevo e mi avrebbe fatto vedere cose che non avrei mai potuto immaginare. Ho pensato che i miei occhi e la mia testa fossero un luogo troppo piccolo per tutto questo, che avevo bisogno di condividerlo, soprattutto con gli amici. Lo scopo del blog era proprio quello: permettere ai miei amici di vedere attraverso i miei occhi, in un certo qual modo, la realtà che stavo vivendo.
Oggi La Tana Africana è letto molto meno dai miei amici e molto più da persone sconosciute, ma va anche bene così ;-)

Il blog ti ha aiutato a fare delle nuove amicizie?

Il blog mi ha portato a raccontare e a sfogarmi, principalmente.
Parallelamente al blog, ma in maniera assolutamente indipendente, ho portato avanti un bellissimo rapporto virtuale con delle splendide donne; con alcune di loro, dopo un profilo Instagram e una pagina Facebook, quasi due anni fa abbiamo creato uno spazio virtuale, instamamme.net, nato inizialmente come una sorta di blog, divenuto un sito prestissimo e ad oggi un borderline tra un magazine e un portale.
Queste due esperienze virtuali, anche in Instamamme c'è una rubrica La Tana Africana!, mi hanno portato a conoscere molte persone e dire oggi quale tra le due abbia maggiormente contribuito è difficile, è tutto molto sfumato.
Lo sdoppiamento tra il sito e il blog mi ha permesso di affrontare temi più leggeri e ridanciani da una parte e temi e riflessioni molto più profonde dall'altra. Il blog è il posto in cui levo il velo da sopra le esperienze e le guardo a fondo, nel sito metto parecchi filtri.
La cosa più bella che mi è capitata grazie al blog è di essere stata contattata da persone che verranno a vivere qui per consigli e confronti: è bello sapere che puoi essere utile a qualcuno!
La cosa più imbarazzante invece è stata scoprire che il collega del Marito Paziente e sua moglie, arrivati un anno e mezzo fa, avevano letto il mio blog, le mie paure e le mie riflessioni ancora prima di conoscere me. Quasi un trauma!

Di cosa ti occupavi in Italia, prima dello spostamento?

In Italia ero un architetto che aveva lasciato indietro la professione per tutta una serie di motivazioni (figli piccoli e nonni lontani, ma principalmente mancanza di lavori) e che si stava reinventando come artigiana, dirottando la creatività al di fuori di riga e squadra e portandola su binari nettamente differenti.
Quando abbiamo avuto conferma dell'assegnazione di una sede e della sede specifica, io ero in pieno periodo di mercatini: un delirio!!!

I tuoi bambini come hanno vissuto il trasferimento? Si sono adattati con facilità?

I bambini, tutti, sono meravigliosi: si adattano con facilità, non hanno preconcetti e sovrastrutture di qualche tipo e i miei non hanno fatto eccezione.
Il trasferimento della nostra famiglia è avvenuto in due tempi: prima è andato il Marito Paziente, un mese e mezzo dopo lo abbiamo raggiunto io e i bambini.
Abbiamo cercato di ricreare il loro spazio portando quasi tutti i loro giochi, i simboli delle feste in famiglia (l'albero di Natale, per esempio!), tutte le cose che dessero alla casa africana un aspetto coerente con la nostra famiglia.
Le difficoltà maggiori sono state l'adattamento del loro sistema immunitario (son finiti ricoverati entrambi dopo un mese e mezzo che si era qui, dopo settimane di antibiotici e influenze varie) e l'apprendimento di un sistema di comunicazione: qui si parla solo francese e, tranne mio marito, nessuno di noi lo conosceva. Anche la scuola, iniziata subitissimo, non li aiutava molto con la lingua e la vera svolta, mi perdonerà Tata Lucia, è stata la televisione: un mese di cartoni animati in francese e il problema era praticamente risolto!
La diversità etnica, cosa che son sincera mi riempie di orgoglio, non li ha mai turbati né stupiti e sono stati accettati subito da tutti i loro compagni!

Paese che vai, usanze che trovi: c'è un'abitudine locale che ti ha maggiormente colpita?

Molte cose mi hanno colpito, in realtà. L'impostazione familiare è spesso molto diversa dalla nostra: sono diffusissime le nounou (tate) che si occupano dei bambini (anche nel caso che le mamme non lavorino!) e in tre anni di scuola avrò incontrato si e no dieci genitori!
Mi ha ferito, più che colpito, il fatalismo. Il pensare per l'oggi, per l'adesso, perché il dopo è qualcosa che non si sa se ci sarà. Il pensare che uno dei tuoi figli possa morire, perché capita. Vedere queste cose fa male. Segna.
Sembra che la situazione stia migliorando e ci si stia muovendo verso un'evoluzione sanitaria e culturale, qui in Costa d'Avorio. Me lo auguro veramente con tutto il cuore.

Com'è una tua giornata tipo?

La giornata inizia, nei giorni in cui i bambini sono a scuola, prestissimo: devono essere in classe alle 7:45 e questo significa svegliarsi almeno alle 6.
Dopo aver portato i bambini a scuola, due volte a settimana vado in palestra e le altre volte torno a casa, sbrigo le faccende, mi dedico al blog e al sito, cucino qualcosa di veloce, mangiamo, mi rimetto al pc e poi è ora di tornare a prendere i bambini; tornati a casa doccia, compiti, cena (presto, visto che la sveglia non perdona!), mettiamo a letto loro, vediamo un po' di televisione e poi andiamo a letto anche noi. Una routine normalissima!

Com'è cambiata la vostra vita da quando vivete li?

Esperienze come questa, in posti lontani dagli affetti e a confronto con culture nettamente diverse dalla tua, ti segnano. Ci sono stati momenti pesanti e momenti bellissimi. Di certo siamo cresciuti moltissimo come coppia e come famiglia, abbiamo imparato che si può fare a meno di molte cose e che ci si deve concedere delle piccole gratificazioni ogni tanto. Abbiamo imparato a dare meno peso a cose che ci sembravano importanti e invece non lo erano, è stato come un mettere a fuoco cose che eravamo abituati a vedere sfocate.

La gente locale è accogliente nei confronti degli espatriati? Hai fatto amicizie con persone del luogo?

In linea generale gli ivoriani sono persone tolleranti; ci sono però parti della popolazione, soprattutto nelle fasce più povere, che vedono gli expat o come invasori o come risorse (economiche) da sfruttare. Da facenti parte di una popolazione soggiogata e colonizzata, pensano spesso che noi expat (essenzialmente noi bianchi) gli dobbiamo qualcosa: per loro è normalissimo che una cosa che venderebbero al nero a 1, a noi la si faccia pagare 10, ma anche 15.
Noi italiani, comunque, siamo ben visti dalla popolazione (al contrario dei francesi, per esempio, per ovvi motivi).
Onestamente non ho fatto amicizie con persone del luogo, più che per mancanza di volontà per mancanza di occasioni: gli ambienti che in Italia portano a maggiori scambi sociali, come la scuola, non sono frequentati dalle famiglie, quanto dal loro personale di servizio (che sia l'autista, la tata o la donna di casa).
Ho però conosciuto, in piscina, un gruppo di donne di varie nazionalità con le quali ci si incontra per imparare a cucinare i piatti tipici dei vari paesi: bellissimo!

Basandoti sulla tua esperienza di mamma, ti senti di dare qualche consiglio alle donne che stanno per affrontare un trasferimento in un Paese straniero con i loro bambini?

Il consiglio principale, nel caso lo spostamento sia verso i paesi del sud del mondo, è quello di vaccinare i bambini: se in Italia si possono fare delle valutazioni di opportunità, in certi posti del mondo no.
A livello pratico, quello di scegliere una scuola, se non internazionale, comunque di stampo occidentale: le abitudini locali possono essere parecchio diverse dalle nostre ed è bene non dare per scontate certe cose (qui vaccinarono mio figlio piccolo per la polio, vaccino che aveva già fatto e avevano i certificato, senza avvisarci prima, tanto per dirne una).
Consiglio di ricreare il loro ambiente per non farli sentire spaesati, di incoraggiare la frequentazione con i compagni scolastici (qui per esempio si usa poco), di aiutarli più possibile con la lingua, parlandola anche a casa.
Il resto verrà da sé, giorno per giorno. Trasferirsi all'estero è un bel variare di equilibri, bisogna semplicemente ritrovare o ricostruire il proprio 

La Tana Africana